“Nasco fumatore di sigarette Marlboro. Poi mi sono reso conto che mi rovinavo da solo. Ho smesso, ma mi sono pentito, perché quando smetti di fumare ingrassi, ti gonfi. Ho provato con la pipa, che ho trovato noiosa, e sono approdato al sigaro, che è la cosa migliore: una sigaretta ti dura niente, invece un sigaro dura a lungo, e fa meno danno perché non c’è la carta. Io fumo il toscano. Il bello del toscano è che tu lo spezzi a metà ed è una cosa accettabile, anche dal punto di vista estetico. Invece il cubano è un’esagerazione, è un po’ sfacciato. Non esagero se dico che sto sopravvivendo grazie al toscano. Il mio cardiologo non si permette di dirmi di smettere di fumare, perché difende la qualità della vita. Che senso ha vivere a lungo se non ti godi la vita?”.
Fabrizio Violati scompare dietro la nuvola di fumo dell’Antico Toscano che stringe tra le labbra, e l’odore acre del suo sigaro italiano, insopportabile o insostituibile a seconda dei punti di vista, lo rappresenta meglio di cento definizioni: un uomo che è andato e va per la sua strada, lottando per le proprie idee, o “sensazioni” come dice lui, senza curarsi degli altri. Non un sognatore, ma un costruttore di sogni. E il suo sogno più grande è racchiuso nelle mura bianche di un edificio alle pendici della Rocca di San Marino: la collezione Maranello Rosso. Auto. Anzi, Ferrari. Perché se è vero che le Ferrari sono delle automobili, forse si può dire che sono più automobili di tutte. Come è vero che Fabrizio Violati non è uno dei tanti collezionisti di Ferrari, ma il Collezionista, quello con la ci maiuscola. Il Ferrarista per antonomasia.
Nel 2007, anno a cui risale questa lunga intervista rimasta fino a oggi inedita, durante la progettazione della più grande grande opera mai dedicata alla Ferrari, uscita in occasione dei 60 anni dalla fondazione, cercavamo appunto il Collezionista di Ferrari. E la risposta è stata inevitabile: Fabrizio Violati.
Ha cominciato con il piede giusto, nel 1965: la sua prima Ferrari è stata la più bella e importante, la 250 GTO, numero di telaio #3851, la 19esima prodotta, nel 1962. La chiama al maschile, il GTO. Gli inglesi, con quel dono della sintesi che la lingua consente loro, lo definiscono the longest keeper: nessuno possiede una GTO da più tempo di lui. Ha ancora la targa originale, ovviamente Modena, ed è un altro record. Solo nel 1972 ha cominciato a comprare Ferrari in modo seriale, per creare una collezione. Se lo poteva permettere.
Nasce il 17 giugno 1935 in un palazzo del XII secolo nel borgo medioevale di Sangemini, dove trascorre l’adolescenza entrando in contatto con i mondi di cui si occupano le principali aziende di famiglia: l’agricoltura e le acque minerali. Si laurea in geologia. Comincia a lavorare nell’azienda familiare, la Sangemini, assumendo ruoli di sempre maggiore responsabilità fino alla carica di amministratore delegato della Acque Minerali Ferrarelle. Intanto fa in tempo a correre con le Vespa e poi con le auto, subire uno spaventoso incidente, comprare la GTO, conoscere Enzo Ferrari, dedicarsi alle barche a vela (con una delle quali, il Vihuela, stupirà all’Admiral’s Cup del 1975), tornare a correre in auto e vincere il Campionato europeo autostoriche del 1985 con la GTO e del 1989 con la 365 P2/3, fondare per volere del Commendatore nel 1987 il Ferrari Club Italia nonché creare, appunto, la più grande collezione di Ferrari del mondo, che nel 1989 apre al pubblico, a San Marino, con il nome di Maranello Rosso. Il primo museo del mondo dedicato alla Ferrari: 25 modelli, tra stradali e da corsa, dall’ASA 1000 alla 512 BB LM, dalla 195 S del 1951 all’F40 del 1987. Ai quali, nel 2000, vengono aggiunte 40 Abarth, il suo primo amore automobilistico. 3000 metri quadrati di esposizione, 80 mila visitatori l’anno.
Violati è mancato nella primavera del 2010, a 74 anni. Il suo museo-salotto è stato chiuso nel 2014. Quell’estate, a Monterey in California, la sua GTO è andata all’asta ed è divenuta l’auto più costosa della storia.
Un ultimo record, per un uomo che ha vissuto la vita alla velocità cui correvano le sue amate Ferrari. Delle quali si era innamorato a 11 anni, quando nel 1947 vide correre Franco Cortese al circuito delle terme di Caracalla, impegnato nel Gran Premio di Roma sulla 125 S. Fu la prima vittoria di una Ferrari. E l’inizio di un amore, anzi, di una ossessione, che dominò, ma tra le altre, la vita di quest’uomo elegante e volitivo, che visse di passioni senza sprecare il dono più grande che un uomo può ricevere: il tempo.
Questa intervista venne registrata sotto le frasche di una osteria romagnola, alla quale Violati mi aveva portato a bordo di una Ferrari 250 GT, tirando le marce come un bambino felice, con il sorriso stampato sulla faccia. Lì, davanti a un bicchiere di vino rosso, accendendo il suo toscano con accanto la sua compagna, Sandra, quest’uomo raccontava, senza bisogno delle parole, tutta la bellezza e la tragicità della vita, l’importanza della passione, dell’amore, dei sogni e della volontà. Fu un bel momento. Uno di quelli che non si dimenticano. Come lui.
Alla notizia del ricordo che volevamo fare di Violati, i cui dieci anni dalla scomparsa non hanno trovato spazio sulle tante testate dedicate al mondo dei motori, Sandra Lodi Vetrano, che ha condiviso con lui vita e Maranello Rosso, ci ha mandato queste parole: “Quella di Violati è stata una vita vissuta con il gusto della sfida, italianissimo fin dalle radici familiari e allo stesso tempo Larger than Life. Provocatore, fine ragionatore e pilota sempre alla ricerca del limite, come la persona che tanto ha ammirato e con la quale nacque una vera amicizia: Enzo Ferrari.
Pensare a Violati è come giocare con gli elementi fondamentali, forse perché lui per primo ha giocato con loro. La Terra è elemento d’origine per definizione e per potenza. Violati ha sempre curato la sua terra: Sangemini. Dalla Terra all’Acqua, che rappresenta prima di tutto il rapporto con la sua famiglia, la prima a scoprire le sue proprietà terapeutiche. Dall’Acqua all’Aria arriviamo alla sua altra grande passione, il mondo delle barche a vela e delle regate, dove il motore è il vento che devi prima capire e poi dominare. Dall’Aria al suo vero amore, quello che irrompe e supera tutto: il Fuoco, rappresentato dalla combustione che anima il motore.
La prima Ferrari arriva a 30 anni ed è la 250 GTO #3851, un’auto dalla quale non si separerà più. Tutte le auto in Maranello Rosso erano citate da Violati come auto di Maranello Rosso, tranne la #3851, sempre e comunque definita come la sua GTO.
Maranello Rosso è stata la prima mostra antologica sul marchio Ferrari aperta al pubblico, la più completa per numero e qualità di vetture, fondata intorno a ciò che ha originato il mito del Cavallino rampante e cioè il motore 12 cilindri. Maranello Rosso fisicamente non esiste più, ma continua a sopravvivere in ognuna delle auto che componevano questa collezione unica al mondo; e con esse, continua a sopravvivere la memoria di Violati. Tramandata, oltre che dalle sue auto, dagli amici che gli volevano bene e da suoi amatissimi figli: Stefano, Laura e Barbara”.
Violati, dove nasce?
“A Roma, ma da una famiglia umbra radicata nel territorio, perché l’azienda di famiglia era l’acqua minerale Sangemini, creata da mio padre e da mio zio. I miei studi sono quindi stati indirizzati alla geologia, in quanto la famiglia aveva il problema di reperire ulteriori vene dove attingere acqua. Ho vissuto sempre a Roma, ma a Sangemini ho trascorso il periodo della guerra: ci eravamo trasferiti in uno dei casolari dell’azienda agricola”.
I motori quando sono entrati nella sua vita?
“Alla licenzia media ho ricevuto come premio una Vespa, che per noi allora significava la libertà. Ho cominciato a modificarla, a elaborare il motore. La prima era una 98, poi è arrivata la 125. Ho cominciato a fare le gare con la Vespa, perché i Vespa Club allora erano molto attivi. Mi inventai anche i salti, con la Vespa. Dove oggi c’è il raccordo anulare di Roma e la borgata Fidene, allora c’era una vecchia cava dove io andavo con la Vespa e mi lanciavo giù per le discese, producendomi poi in lunghi salti. Lo facevo per divertirmi. Un giorno sono stato fotografato e la Piaggio mi ha utilizzato per una trasmissione televisiva. Ho corso con la Vespa fino a 17 anni e mezzo, quando ho preso il foglio rosa. La vettura di famiglia era la Topolino, ma io ho ricevuto una 600. L’ho preparata e ho cominciato a correre in salita. Era il 1958. Me la preparava Morettini, un meccanico che lavorava nella stessa strada di De Sanctis: via Arno, a Roma. Morettini della 600 non aveva capito molto, mentre De Sanctis era molto bravo. Me ne sono accorto quando ho comprato un motore che era stato elaborato da lui e con la mia macchina in salita ho fatto l’assoluto nella categoria Turismo. De Sanctis ci ha preso gusto e mi ha spinto a correre in pista. Era una cosa che fino a quel punto mi era interessata relativamente, perché era ripetitiva. Ho preso una 850 Abarth e sono andato a provare a Vallelunga. Mancavano due giorni al Natale 1960. Pioveva. C’era un’altra Abarth che girava, una 750 Zagato, che ha sbiellato nella esse. Io sono arrivato, la macchina è scivolata sull’olio e sono finito nel prato. La macchina è sprofondata nell’erba, perché era due giorni che pioveva. C’era un tombino di cemento che sporgeva 15 centimetri dalla terra ed era nascosto dall’erba: la macchina è riuscita a passare ma la balestra ha colpito il tombino; dal colpo, si è aperta la portiera e io sono stato sbalzato fuori. Sono rotolato giù per la scarpata e mi sono andato letteralmente a stampare contro la parte posteriore del guardrail. Un bullone mi ha aperto la testa, lasciandomi segni che si vedono ancora oggi. Ero senza casco e senza cinture. La macchina ha proseguito e si è fermata più avanti. Ero andato a provare da solo e nessuno si è accorto che ero uscito di pista. All’una, dopo un paio d’ore, quando dovevano chiudere la pista, sono venuti a cercarmi, mi hanno trovato e mi hanno portato al pronto soccorso di Vallelunga. Lì mi sono risvegliato e ho capito che ero conciato male e che era meglio chiamare casa, fatto che mi scocciava perché avevo detto che ero andato all’università. In ospedale mi hanno tenuto in sala operatoria per otto ore. A quel punto però la mia famiglia mi ha proibito di correre”.
(fine prima parte)
Luca Delli Carri per Scuderia Club Italia
foto ©Marco Pagani