L’incidente subìto a Vallelunga ha rappresentato la fine della carriera di pilota, ma non dell’amore per le automobili.
“Ho cominciato a lavorare. Per andare a passeggio ho comprato un’Alfa Romeo Giulietta SZ coda tronca preparata da Facetti, un’auto che aveva corso, con la quale potevo guidare divertendomi. Vivendo a Roma e avendo lo stabilimento a Sangemini, ogni giorno dovevo percorrere cento chilometri senza autostrada. A viaggiare mi divertivo, con l’SZ. Dopo sono venute una Giulia Super e una Giulia GTA. Quest’ultima la feci preparare da Facetti. Era il 1965, ed è stato a quel punto che ho comprato il GTO. Avevo trascorso tutto il 1964 a cercare un GTO. Me ne ero innamorato già la prima volta che l’avevo visto, nel 1963 a Monaco, ultima prova del Tour de France di quell’anno. Lo vidi e apprezzai la sua bellezza e la differenza con tutte le altre auto, e anche con tutte le altre Ferrari. La linea, mi colpì, ma anche il suono, perché 12 carburatori danno un suono di aspirazione, quando apri tutto, che è molto diverso dal suono che danno i sei carburatori. È tutta un’altra cosa”.
E dopo quella visione si è messo alla ricerca della GTO.
“Sì. Dato che era una vettura da corsa ormai superata, nella mia testa mi ero fatto l’idea che dovevo trovarla a un prezzo accessibile, perché non era più una macchina competitiva nelle gare. Ne trovai due a Modena, che non comprai perché chiedevano troppo: quattro milioni e mezzo o cinque milioni. Troppo. Finalmente uscì su Auto Italiana un annuncio di Prinoth, da Ortisei, che vendeva il suo GTO. Aveva messo il prezzo: tre milioni e mezzo. Gli telefonai e gli dissi: Ce l’ha ancora? Rispose di sì. Senta, io chiamo da Roma e ho solo due milioni e mezzo: devo venire lo stesso? Lui fu simpatico e disse: Lei può venire, perché se ha telefonato significa che è interessato, e se io ho messo l’annuncio è perché la voglio vendere: troveremo un accordo. Sono andato con una BMW 2000 accompagnato da un amico. Siamo partiti la sera, dopo il lavoro, e siamo arrivati a Ortisei a tarda notte. Siamo andati a dormire. La mattina dopo ho trovato Prinoth, che era un uomo disperato, perché dopo tre, quattro mesi di annunci nessuno si era fatto vivo per comprare il GTO. La moglie tutte le mattina lo esortava a buttarla via, perché la macchina impicciava. Era arrivato alla conclusione che il motore lo avrebbe regalato a un suo amico che correva con i motoscafi e la carrozzeria l’avrebbe schiacciata. Invece l’ho comprata io, a due milioni e 600 mila lire. Ho ancora la fattura. Prinoth era contento, perché la vendeva a poco ma a un appassionato che l’avrebbe fatta vivere. Ripartimmo la sera da Ortisei. Quando fummo in Emilia erano le otto di sera ed era estate, per cui quando attraversavo tutti questi paesetti dove c’era gente che stava fuori a prendere il fresco li trovavo tutti in piedi e schierati come fosse la Mille Miglia, perché avevano sentito il motore del GTO in lontananza e si erano incuriositi, erano rimasti affascinati dal rombo. Il problema nacque quando chiesi i documenti. Prinoth mi disse: Li ha il Commendatore. I GTO erano tutti intestate ai suoi operai, non ai clienti che li compravano. Io chiesi i documenti al Commendatore ma lui non mi disse la verità: mi disse che voleva avere il controllo di questa che era una sua creatura e voleva darla solo a persone di sua scelta, e per questo i documenti rimanevano di fatto in Ferrari. Secondo me lo feceva per avere la sicurezza che la macchina, una volta costruita, potesse andare a correre. Essendo una macchina particolare, se l’avesse venduta a un francese o a un tedesco, avrebbe dovuto fare il collaudo per l’immatricolazione, e magari rischiava di non rispettare le norme. Invece immatricolandole a Modena non c’erano problemi. Tanto è vero che il primo proprietario della mia Ferrari GTO era Lauro Fiorani. Dopo due anni mi arrivò una telefonata da Maranello: Signor Violati, il Commendatore l’attende perché ha pronti i documenti del GTO. Ricordo anche che dopo avere comprato la macchina andai a farla valutare alla Ferrari, perché Prinoth era uscito di pista alla curva Parabolica durante una corsa a Monza alla fine del 1964. Venni dirottato da Sergio Scaglietti, e feci la conoscenza di questo personaggio straordinario. Scaglietti mi disse: Signor Violati, lei non sa che cosa ha comprato. Come non lo so?, risposi io. No, lei ancora non si rende conto; io invece so che macchina è, perché sono io che l’ho costruita. Allora mi raccontò dei tubetti da dieci millimetri per tenere la carrozzeria ancora al telaio, dell’alluminio di basso spessore… Guardi, non faccia fesserie: non venda mai questa macchia perché se ne pentirà, mi disse Scaglietti congedandomi. Lui difendeva la sua creatura, chiaramente, ma aveva ragione”.
Oltre a contemplarne la bellezza, cosa intendeva fare con la GTO?
“Io avevo scelto il GTO per usarlo. Dovetti affittare un garage per metterci dentro la macchina: la tenevo chiusa, nascosta, per non farla vedere alla famiglia, altrimenti mi avrebbero cacciato da casa. La sera, quando uscivo dall’ufficio, posavo l’Alfa, prendevo il GTO e scorrazzavo con quello. Poi l’hanno scoperto e il GTO è stato accettato in famiglia, anche se a caro prezzo. Mia moglie, quando ha visto il GTO, ha detto: O lei o me. Lo terrò presente, ho replicato. In effetti, come diceva Scaglietti, è stato solo dopo, solo usandola, che ho cominciato a scoprire cos’era il GTO. Io avevo tutti i miei percorsi per andare a Sangemini, dalla via Flaminia in giù, e potevo fare dei confronti. Questa macchina andava come una bomba. Ho cominciato un gioco con lei: cercare di capire i suoi limiti e cercare di avvicinarmici. Se con l’Abarth 850 è relativamente facile, se con una GTA è facile, con un GTO è molto difficile, perché stai proprio su un’altra dimensione. Il GTO mi ha insegnato a guidare in un certo modo e ha sviluppato in me una grande sensibilità. Alla fine credo di avere tirato fuori dal GTO quello che nessun altro è riuscito a tirare fuori. Perché una cosa è salire su una macchina in circuito, dove ti incancrenisci su una guida che non ti permette di portarla al cento per cento, in quanto la macchina ti mette paura. Invece, se ci arrivi per gradi, come avviene nell’uso su strada, scopri che il limite è molto alto e riesci ad avvicinarti. Io sono cresciuto con il GTO. Tanto è vero che, molti anni dopo, quando siamo andati a provare con la 512 BB LM a Monza, io ho girato con la mia macchina assieme alle 512 della scuderia di Charles Pozzi. A un certo punto arriva Daniel Marin, che era il capo della Pozzi, mi prende sottobraccio e mi dice: Senti un po’, Violati, tu non me la racconti giusta: come fai ad andare così forte con questa macchina? Io ho un pilota che è uno specialista sul BB, si chiama Andruet ed è soprannominato Cavallo Pazzo, perché supera i limiti di tutti gli altri: mi spieghi come fai a girare due secondi meno di lui? E io, che avevo girato senza cronometro, rispondo: Il segreto è che io ho imparato il mestiere guidando il GTO. Ah, va bé, mi dice allora Marin. L’esperienza con il GTO mi permetteva di sfruttare il BB, che era una macchina difficile da guidare, perché aveva un terribile sovrasterzo di potenza, più di un pilota professionista”.
Ma cos’hanno di speciale le Ferrari?
“Il bello delle Ferrari è che sono macchine plasmate dall’esperienza delle corse e dalla passione. Mi sono innamorato delle Ferrari quand’ero ancora un ragazzino, nel 1947 a Roma, in occasione del Gran Premio di Caracalla. Fra tante macchine più o meno simili, ce n’era una tutta diversa, particolare, con un rumore che mi faceva venire i brividi a ogni passaggio. Era una Ferrari. Il Commendatore era un uomo che andava contro corrente: mentre tutti lavoravano sul quattro cilindri, lui aveva fatto un dodici”.
(fine seconda parte)
Luca Delli Carri per Scuderia Club Italia
foto © Marco Pagani